LA MADRE DI EVA

 
 
28 Feb - 02 Mar 2023

Un percorso tra due generazioni per riconoscere la diversità come un valore.

 

Note regia

 

Che cosa vuol dire essere madre? Mi sono sempre posta questa domanda.

Quando per la prima volta, dopo aver partorito, il medico avvicinandosi pronunciò proprio quella parola: mamma, ebbi uno scoppio improvviso di pianto. Sentii un misto di gioia, amore immenso, paura e smarrimento per quello che mi sarebbe toccato diventare: madre. Madre di un figlio, ancora sconosciuto.

 

Essere madre non è un mestiere facile. Come si fa a vivere con il pensiero delle malattie, degli incidenti, con la paura della droga e della violenza?  Come si fa ad accompagnarli sulla via della consapevolezza, della crescita e della realizzazione di se, rendendosi invisibili per poi lasciarli andare? Essere madre implica il senso di colpa, sentire un qualsiasi fallimento di un figlio anche sulla propria pelle.

 

Anche essere figli non è un mestiere facile. Sapere di essere completamente dipendenti dalle decisioni di qualcun altro è una sorta di schiavitù̀ a cui è giusto ribellarsi quando si raggiunge una sufficiente consapevolezza.

 

Nessuno nasce genitore e nessuna donna nasce madre.  L’unica, vera, possibile guida è l’amore, uno scambio continuo tra genitori e figli, in un ascolto reale e sincero tra generazioni.

 

“La madre di Eva” è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Silvia Ferreri, finalista al premio Strega nel 2018.  È la storia, toccante e contemporanea, di una madre che parla a sua figlia – lei l’ha sempre considerata una femmina – in un corridoio di una clinica di Belgrado, mentre al di là del muro, stanno preparando la sala operatoria e i dottori tracciano linee verdi sul suo corpo nudo, per permettergli di realizzare, finalmente, il suo desiderio: prima dei miei diciotto anni voglio sottopormi all’intervento che mi renderà quello che sono davvero: un uomo.

 

In un dialogo surreale senza risposte, sospeso tra l’immaginato e il reale, la madre racconta la loro vita fino a quel momento. Un viaggio costellato di amore e odio, sensi di colpa, paure, desideri e speranze. Madre e figli* sono le facce di una società che evolve e non dà tempo, ci spiazza e ci rende soli.

 

Lo spettacolo grazie a diversi linguaggi (cinema, visual art, teatro e letteratura) ci immerge nei sogni e negli incubi, nel presente e nel passato, nei flussi di coscienza dei personaggi principali.

 

 

Racconterò il forte contrasto generazionale attraverso una storia archetipa di oggi, osservando le tematiche transgender da diverse prospettive: dal punto di vista di chi ne è fisicamente coinvolto ed anche di chi, per ruolo, sente il dovere di proteggere “la sua creatura”, con il timore delle discriminazioni che la società spesso riserva a coloro che perseguono un percorso di transizione.

La transizione di cui parliamo è quella da un corpo femminile a uno maschile, generalmente meno raccontata, più difficile da comprendere per la società poiché porta con sé complesse questioni etiche e culturali. Non sai che ci sono donne che pagherebbero per il tuo utero, per fare figli che non hanno potuto fare?

 

Per Alessandro la transizione è un percorso che modifica il corpo, non l’identità. Lui è nato uomo. Non c’è un prima e un dopo.

 

Per la madre, condizionata da un pregiudizio ancestrale, la transizione è un calvario ingiustificato oltre a essere un insulto alla “sua” creazione di donna e madre.  Non è una donna bigotta e non è particolarmente credente, ma ha paura. L’amore per l* figli*e l’ansia di essere una madre perfetta, la portano a guardare da un’unica prospettiva, la sua.

L* ostacolerà fino a quando lei stessa non sarà in grado di evolvere, abbattendo quel muro di solitudine che le ha divise fino al momento in cui entrambe rinascono.

 

Un figlio non è l’estensione del proprio essere ma è un individuo a sé totalmente libero e autonomo. Una volta che sarà tutto finito cambierà tutto, ma allo stesso tempo non muterà nulla.

 

E chi diventerò io? Madre di maschio dopo diciotto anni madre di femmina.

Attraverso lei, vorrei si aprisse per il pubblico una finestra sull’identità di genere, che porti lo spettatore ad immedesimarsi emotivamente in entrambi i personaggi. Penso che tanti genitori e tanti figl* che stanno affrontando questo percorso, grazie alla visione di questo spettacolo potranno sentirsi meno soli.

 

 

 

 


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